Picchio nero

Copyright © 1999-2000 Baldovino Midali

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            Il bosco montano, con le sue macchie di colore cangianti a seconda delle stagioni, con le sue fitte ombre e i suoi chiaroscuri, resta nell’immaginario collettivo un luogo misterioso, popolato di gnomi, di fate e di lupi, al quale si accede con un certo senso di disagio, di incertezza, e a volte anche di paura. Se però alziamo lo  sguardo oltre il mondo fantastico delle fiabe e dei racconti immaginari che hanno popolato la nostra infanzia, scopriremo angoli incantevoli, realtà nuove e vitali, ricche di seduzione e di segreti, e riusciremo a cogliere un intreccio di vite parallele dal fascino senza confini, dove i rapporti intraspecifici vivono condizioni sempre nuove. 

Dalle associazioni in cui lo scambio reciproco di favori è l’elemento vitale per la sopravvivenza, come lo sono alcuni funghi per certe essenze arboree, alle situazioni conflittuali in cui certe specie devono soccombere per far posto ad altre, o alla dipendenza reciproca improntata sulla predazione, in cui il rapporto tra preda e predatore diventa esso stesso, seppur nella sua tragicità, elemento vitale per la sopravvivenza di entrambi. Un mondo tutto da scoprire.

Nei territori antropizzati, o comunque trasformati per far posto alle coltivazioni, necessarie alla prosperità dell’economia, non vi è ormai più traccia degli antichi boschi che ricoprivano, nei secoli addietro, le vallate alpine, e le poche macchie di verde sono state trasformate, per necessità, in boschi “domestici”, dove l’intervento dell’uomo ha condizionato pesantemente le caratteristiche “naturali” del bosco originario.

Sulle pendici delle nostre montagne, diversamente, nonostante debbano essere mantenuti interventi di utilizzo delle risorse arboree, restano ancora grandi spazi in cui il bosco maturo, con la presenza di un ciclo naturale e completo di vita degli alberi, conserva caratteristiche assai vicine a quelle originali. Qui il fascino naturale di questo ambiente prezioso e unico, che fa delle regioni alpine un autentico gioiello naturale senza eguali in Europa, esprime, con le sue presenze discrete, un grado altissimo di biodiversità, da cogliere, apprezzare e difendere.

Tra queste presenze significative, quelle che più evidenziano lo stretto legame tra le specie arboree e quelle del mondo alato sono i picchi. Nel corso dell’evoluzione queste specie si sono sempre più adattate ad una vita di stretta dipendenza dagli alberi, non tanto legata ad un utilizzo diretto delle risorse vegetali, bensì ad una forma di associazione indiretta, in cui l’albero diventa, a seconda delle circostanze e delle stagioni, rifugio sicuro per la prole, dispensa alimentare, strumento di trasmissione dei segnali interspecifici e intraspecifici e riferimento costante per ogni attività della specie.

Il più numeroso e frequente ospite di questo gruppo di uccelli è il Picchio rosso maggiore [Dendrocopus major]. Come per le altre specie si tratta di un ospite difficile da osservare, in quanto il suo ambiente e l’abitudine di starsene sempre attaccato al tronco degli alberi lo sottrae alla vista, nostra ma anche dei possibili predatori. Bellissimo nella sua livrea nera e bianca, dal dorso bruno, ha come segno distintivo del maschio una macchia rossa sulla nuca, che nei piccoli interessa tutto il capo, mentre in entrambi i sessi sono rosse anche le piume del sottocoda.

Si sposta da un albero all’altro con un volo ondulato, che ricorda quello di una farfalla, e ci annuncia la sua presenza già all’inizio della primavera, quando il bosco è ancora coperto dalle ultime tracce di neve. Non ci potrà sfuggire il suo tamburellare sui tronchi, per annunciare la presa di possesso del territorio ad eventuali altri maschi perché se ne stiano alla larga, e alle femmine per invitarle a “metter su casa”, così che possano decidersi ad accettarlo come compagno. Il tambureggiare risulta infatti essere innanzitutto un segnale intraspecifico che si differenzia nei suoi ritmi, più o meno accelerati e diversi per ogni specie, e solo secondariamente l’indizio che sta scavando un tronco per preparare un rifugio per il nido o sta cercando qualche larva xilofaga, quelle che si nutrono delle sostanze legnose in decomposizione, per cibarsene. 

Un'altra specie, la più grande di quelle presenti in Europa, è il Picchio nero [Dryocopus martius], che segnala la sua presenza quasi incessantemente con richiami forti e ripetuti. Più raro del precedente, necessita di un’areale maggiore per il suo insediamento. Il suo nido è scavato dentro vecchi tronchi di faggi o di conifere, presenta un’apertura ovale con un diametro d’entrata di 10/12 cm. ed una camera per l’incubazione profonda 50/60, del diametro di circa 20 centimetri.

Qui la femmina, alternandosi con il maschio, cova e accudisce 5 o 6 piccoli ogni anno, che sono in grado di prender il volo dopo circa 3 settimane.

Trattandosi di uccelli territoriali, non è raro, specialmente nel periodo degli amori, che due maschi si sfidino, aggrappati ai tronchi, con atteggiamenti ritualizzati di intimidazione, che non raggiungono quasi mai il livello di scontro diretto. 

La colorazione nera, con il vertice rosso fino alla fronte nel maschio, ma solo sulla nuca nella femmina, lo rende inconfondibile; la taglia raggiunge quasi i 50 cm. di lunghezza, e l’apertura alare i 70/75 centimetri.

Il terzo “personaggio” che possiamo incontrare, o sentire per il suo richiamo quasi sghignazzante, è il picchio verde [Picus viridis], dal volo lineare. La sua colorazione è diffusamente verdastra con sfumature gialle sul groppone; ha una mascherina nera attorno agli occhi e il vertice rosso, dalla fronte alla nuca, in entrambi i sessi. Caratteristica distintiva per riconoscere il maschio è la presenza di una seconda macchia rossa sui mustacchi a lato della mandibola, bordata di nero, che non compare invece nella femmina.

Le sue abitudini sono un po’ diverse da quelle tipiche delle altre speci, in quanto ama passare gran parte del tempo a terra, alla ricerca di larve sotto le foglie oppure di formiche, di cui è ghiottissimo e che rappresentano fino all’80% della sua dieta giornaliera.

I picchi in genere sono dei colonizzatori di boschi “maturi”, e la loro presenza è un valido indice di qualità ambientale di un bosco. 

Queste specie hanno adottato delle strategie evolutive del tutto particolari, ed hanno saputo adattarsi come nessun’altra specie all’ambiente in cui vivono, vivendo in perfetta simbiosi con gli alberi.

Osservati nelle loro caratteristiche specifiche, i picchi presentano una coda “sui generis”, in quanto le timoniere, morbide in quasi tutte le altre specie per meglio svolgere la funzione direzionale durante il volo, sono rigide e con un “taglio” dell’apice a forma di punta di lancia. Ciò perché esse svolgono, per queste speci che letteralmente camminano e saltellano su e giù dalle cortecce dei tronchi d’albero, un’importante funzione di sostegno, così che nella posizione di appoggio al tronco, normalmente in verticale, il picchio può fare affidamento su tre punti di appoggio: le due zampe e la coda. Le dita, inoltre, per meglio svolgere la funzione di ancoraggio al tronco, sono posizionate  in maniera anomala: due dita sono rivolte in avanti e due indietro, per ottimizzare al massimo la presa.

Altre due caratteristiche sono del tutto tipiche dei picchi: la robustezza straordinaria del becco, con potenti muscoli di sostegno, e la lingua

Con il becco sono in grado di forare con disinvoltura i tronchi dentro i quali costruiscono i nido, senza subire conseguenze fastidiose in quanto anche la struttura ossea, per meglio assorbire i contraccolpi, ha assunto una caratteristica particolarmente spugnosa. La forza della muscolatura del collo permette ai picchi di tambureggiare con una velocità impressionante, anche per lungo tempo, senza sforzo apparente. 

La velocità massima di ritmo la raggiunge il picchio rosso maggiore, in grado di effettuare anche 8/10 battute al secondo. Nel periodo del corteggiamento questi segnali sonori possono essere ripetuti qualche centinaia di volte al giorno.

Per quanto riguarda la lingua, essa è diventata uno strumento eccezionale per catturare gli insetti e le loro larve, nascoste sotto le cortecce, dentro il legno marcescente dei tronchi o, per il picchio verde, nei formicai. Essa raggiunge una lunghezza anche due volte quella del cranio, è appiccicosa e presenta, all’apice, delle particolari uncinature, in grado di “agganciare” le larve anche dentro le profonde gallerie del legno. Nella posizione di riposo viene custodita dentro uno speciale “astuccio” ricavato nella calotta cranica, per tutta la circonferenza del capo fino alla fronte. Un percorso evolutivo di specializzazione, quello dei picchi, che desta, per l’efficacia delle soluzioni adottate, una grande ammirazione per il grado in cui la natura, nella sua millenaria storia evolutiva, ha saputo creare.

Tutti i maschi delle specie descritte presentano, in proporzioni diverse, una macchia rossa sul capo, che esibiscono come ornamento nei corteggiamenti

Quelle dei picchi sono presenze discrete, testimonianze di quanto e di come l’ambiente “bosco” abbia saputo influenzare l’evoluzione di determinate specie a lui amiche.

GALIZZI FLAVIO

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