Aquila reale

Copyright © 1999-2000 Baldovino Midali

e lo STRAORDINARIO successo riproduttivo di molte specie nelle nostre orobie

La catena delle Alpi lombarde e delle Prealpi sta vivendo, dal punto di vista faunistico, una stagione di vita nuova, una rinascita straordinaria che vede quasi tutte le specie stanziali in netta espansione o in ripresa, ad eccezione di casi particolari per i quali l’attenzione è vigile e l’interessamento costante.

Per questi pochi casi il ritorno di un ambiente più selvaggio e meno antropizzato, dove gli equilibri biologici si stanno modificando in favore di un recupero del bosco a discapito dei pascoli e dei prati in generale, ha costituito una sorta di handicap. Il loro successo era indirettamente legato anche alle attività umane, come la pastorizia  o la monticazione delle mandrie bovine ed ovine e caprine (nel caso delle coturnici), oppure, come avveniva per il francolino di monte, era in parte collegato all’utilizzo e allo sfruttamento del bosco e della aree limitrofe, con la tenuta in attività dei  piccoli appezzamenti e delle baite di montagna, e con frequenti interventi anche di pulizia del sottobosco.

Per altre specie in diminuzione, come la pernice bianca, il più grande nemico pare essere l’effetto clima. L’innalzamento di qualche grado della temperatura media rappresenta per loro un forte limite al successo riproduttivo e alle condizioni generali di vita. Non dimentichiamo che questa è una specie tipicamente nordica, definita un “relitto glaciale”, e le nostre regioni montane rappresentano il limite sud del loro areale, oggi minacciato per le modificazioni climatiche che stanno sopravvenendo.

Se a ciò sommiamo la predazione di cui sono oggetto, facile in quanto vivono in territori aperti e senza ripari naturali, in particolare proprio da parte di alcune specie oggi in espansione,  le prospettive per loro non sono certamente rosee.

Le leggi naturali vanno comunque accettate con umiltà, anche quando ciò rappresenta motivo di dispiacere o di sconforto.

Questi problemi offrono motivo di studio alle associazioni che si occupano del benessere della fauna, siano esse libere associazioni o gli Enti gestori dei territori montani, che in genere lavorano in stretto contatto con i ricercatori e le università e che già molto stanno facendo in questa direzione.

Per altre specie il successo è ormai definitivo e la loro espansione è in costante progresso; semmai, in questo caso, si fa sempre più pressante il problema della “gestione” delle loro popolazioni, alla luce degli equilibri ambientali possibili e accettabili.

Volendo leggere il quadro di tale successo sotto il profilo ecologico e complesso delle maglie dei rapporti interspecifici, dobbiamo partire proprio dal bosco, dalla biomassa vegetale in costante aumento e dagli effetti che ciò produce all’intero mondo animale.

I primi beneficiari di tale processo di crescita sono i mammiferi erbivori e tutta la massa di invertebrati che in qualche modo, nel corso della loro vita, dipendono dal mondo vegetale.

Ecco dunque delinearsi maggiori possibilità di successo riproduttivo anche per tutti gli uccelli che nidificano e si riproducono nei nostri boschi. Un successo che tende a creare quell’atmosfera magica che il bosco, durante tutta la primavera e l’estate, sprigiona.Mi tornano alla mente due libricini di Marcel Roland, un naturalista francese dell’inizio del ‘900, dal titolo “La grande lezione dei piccoli animali” e “Canti d’uccelli e musiche d’insetti”. I temi parlano da soli, e i tempi nostri decretano, almeno sulle nostre  montagne, un ritorno ad un ambiente più vivo e vivibile, certamente più affascinante.

Il successo più eclatante e visibile è però quello delle popolazioni di ungulati, gli erbivori più numerosi. 

Qui il problema si fa più complesso, in quanto tali popolazioni non conoscono predatori naturali, ed in natura le esplosioni demografiche senza controllo, di qualsiasi tipo, sono da guardare con attenzione e senza falsi entusiasmi.

Oggi possiamo senza dubbio affermare che in Lombardia i territori che hanno fatto registrare i migliori successi sul piano quantitativo e qualitativo delle popolazioni faunistiche sono quelli delle Orobie bergamasche, in particolare delle Orobie brembane. Su queste vette il successo riproduttivo e di espansione territoriale degli ungulati si può esprimere con cifre a tre zeri. I caprioli vengono stimati in una popolazione attorno alle quattromila unità, mentre i camosci superano le tremila unità. Dati molto significativi che espressi solamente in termini numerici non dicono tutto. All’interno delle popolazioni, infatti, vi è un equilibrio corretto tra le diverse classi di età e i sessi, e la loro gestione, affidata al Comprensorio alpino, è curata e realizzata con impegno e professionalità.

A queste specie, certamente le più numerose, va aggiunta una discreta popolazione di stambecchi, non ancora censita, che supera abbondantemente le 500 unità. Anch’essa è in ottima salute e rappresenta un fiore all’occhiello per l’intero complesso delle Orobie. Anche i cervi hanno fatto da anni la loro comparsa, e piccoli nuclei, distribuiti a macchia di leopardo sul territorio fanno ritenere che presto la loro presenza sarà significativa e più percettibile.

Una nicchia particolare, legata all’ambiente delle praterie alpine d’alta quota, è quella rappresentata dall’associazione marmotta – aquila, preda e predatore. Essa è riuscita a trovare un proprio equilibrio interno anche sotto il profilo della piramide alimentare.

Per queste due specie non sembra esistano problemi particolari, salvo il mantenimento di un equilibrio legato a parametri ecoambientali ben precisi, in base ai quali, nonostante la disponibilità alimentare in certi periodi sia grande, vanno attentamente considerati i periodi di scarsità alimentare, anche drastica in alcuni mesi dell’anno. La quantità dei predatori deve essere tarata sulla minima disponibilità, pena la crisi stessa del delicato sistema. Non dobbiamo dimenticare che le marmotte sono roditori che vanno in letargo.

Questo roditore è presente in numero altissimo, stimato in parecchie migliaia, tanto che sembra possano cominciare a rappresentare un problema. Nell’ambiente d’alta quota, così vasto, hanno colonizzato praticamente ogni angolo, e sono proprio loro che hanno permesso il ritorno dell’aquila reale, le cui coppie, almeno tre o quattro, nidificano e si riproducono regolarmente e con successo.

Per questo grande rapace, che nidifica già dall’inizio della primavera quando la disponibilità alimentare è massima, la sopravvivenza di entrambi i piccoli è fortemente legata alla disponibilità di prede nei primi due mesi di vita. L’aquila depone infatti generalmente due uova, a tre quattro giorni di distanza l’uno dall’altro, ma inizia l’incubazione subito dopo la deposizione del primo. Tale fatto determina una prevalenza costante del più grande tra i due, e poiché la loro crescita, come avviene in genere negli uccelli, è assai rapida, questa differenza, in caso di carenza di cibo, va a discapito del più piccolo, che non riesce a soddisfare il suo bisogno alimentare e perisce, a volte addirittura per l’aggressione del suo stesso fratello.  

Fenomeno che nel linguaggio scientifico è definito “cainismo”.

Da studi e osservazioni effettuate in altri territori con le stesse caratteristiche del nostro, e in parte anche sulle Orobie, le prede portate al nido sono per circa il 90% marmotte, mentre solo per la restante parte esse possono essere costituite da lepri, volpi, piccoli di capriolo o di camoscio,  ma anche da galli forcelli, coturnici e pernici bianche. Ovviamente le percentuali di predazione sono molto diverse a seconda delle disponibilità dei territori, ma è accertato che laddove abbondano le marmotte il  successo riproduttivo dell’aquila è garantito, e le coppie possono definirsi stabilmente insediate sul territorio.

Il territorio delle Orobie, nell’arco delle Alpi lombarde, rappresenta uno scrigno straordinario di tesori naturalistici, e la regina delle vette, l’Aquila, ne è il testimone più alto e il custode silenzioso.

GALIZZI FLAVIO

Inizio Pagina