Stambecco

Copyright © 1999-2000 Baldovino Midali

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Testo 

 

LE STAMBECCO DELLE ALPI

La sua storia

 

Gli stambecchi delle Orobie  

 

Nell’arco Alpino

 

Vita familiare dello stambecco 

 

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La sua storia

Quella dello stambecco [Capra ibex] è una storia emblematica, ricca di spunti di insegnamento e di riflessione. La sua esistenza poteva concludersi tragicamente già agli inizi dell’800, quando era ormai scomparso da tutto l’arco alpino, non solo sui versanti italiani, ma anche su quelli austriaci, svizzeri e francesi. L’ultima popolazione, presente solo in Italia tra Piemonte e Val d’Aosta, ormai ridotta a pochissimi esemplari, pare non più di 100, veniva protetta da un regio decreto, e successivamente “gestita” con l’istituzione della Riserva reale di caccia del Gran Paradiso. 

La storia di questo bellissimo bovide, della famiglia dei caprini, che con il camoscio è tra i più caratteristici simboli delle Alpi, ci insegna innanzitutto come la “non conoscenza” della vita degli animali, della loro consistenza, delle loro abitudini, delle loro necessità alimentari, climatiche e di “habitat”, possono costituire un vero e proprio pericolo per la loro sopravvivenza. Sicuramente fu l’azione di caccia che decretò la sua quasi scomparsa sulle nostre montagne, ma certamente ancor più incise il fatto che nessuno immaginava che questa specie potesse realmente scomparire, in quanto tra la gente era normale ritenere che di tali animali, come di quasi tutte le specie alpine, ce ne fossero ovunque, e potersene cibare fosse una sorta di “dono” di cui poter disporre.

Quasi per dispetto, per una sorta di legge del “contrappasso”, furono proprio dei cacciatori, appunto i Re di Casa Savoia, che con leggi speciali ne vietarono prima la caccia, e introdussero poi il criterio di “gestione” nella speciale riserva del Gran Paradiso, divenuta solamente più tardi Parco Nazionale, riservandosene il diritto di caccia.

Un altro elemento che giocò un ruolo non secondario, fu la credenza popolare, da far risalire all’alto medioevo, delle proprietà curative che possedeva il suo sangue e tutte le parti del corpo. In una antica leggenda si parla di un ossicino a forma di croce, situato nel cuore, dal potere taumaturgico, mentre nei libri di medicina popolare ogni suo organo, e perfino le sue feci, entravano a far parte di numerosi rimedi.

Le conoscenze scientifiche di oggi hanno fatto piazza pulita di molte assurde credenze simili a queste, anche se per alcuni popoli, dove una cultura secolare attribuisce ancora proprietà terapeutiche a parti di animali rari che per la loro forza e potenza sono ritenuti possedere poteri miracolosi, alcune specie costituiscono motivo di commerci illeciti e di stermini insensati, come le tigri, i rinoceronti e altre.

Oggi sulle Alpi lo stambecco è stato reintrodotto un po’ dovunque. Non solo nelle nostre regioni, ma anche in Austria, in Francia, in Svizzera, in Slovenia e in Germania, con pieno successo, tanto che in tutti gli altri stati confinanti ne è di nuovo stata consentita la caccia, per controllarne  e gestirne meglio le popolazioni.

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Gli stambecchi delle Orobie

Nelle nostre Orobie bergamasche non è accertato se ve ne siano mai stati, anche se è ipotizzabile che avrebbero potuto benissimo viverci, almeno sulle vette più alte, in quanto l’habitat risulta essere particolarmente idoneo alla loro esistenza, e ne è documentata una popolazione che nel medioevo popolava le montagne della Val Chiavenna e dei Grigioni.

All’ inizio degli anni ’80 la Regione Lombardia, con la consulenza scientifica del Dipartimento di Biologia dell’Università di Milano, pensò alla possibilità di reintrodurre lo stambecco anche nel territorio delle Orobie, e diede l’incarico per uno studio preliminare sulla sua fattibilità.

Gli studi che sono seguiti hanno individuato nel comprensorio alpino delle Orobie un habitat favorevole al suo insediamento, localizzato in due comparti distinti: il primo in alta Valle Seriana, ed un secondo nel gruppo del Pizzo dei tre Signori, interessando così anche le Province di Brescia, di Como e di Sondrio.

Dal 1987 al 1989, in queste due aree, sono stati reintrodotti 88 esemplari, tutti provenienti dal Gran Paradiso, e il Progetto Stambecco ha avuto concretamente il via.

Considerato che l’indice di incremento medio annuo di questa specie si colloca intorno al 10 - 15%,

la popolazione delle Orobie dovrebbe raggiungere nel 2007, a vent’anni dalla prima reintroduzione, così come ipotizzava il progetto, circa 1500 individui; una consistenza che garantirebbe, sotto ogni profilo, una notevole vitalità genetica e la capacità di rispondere selettivamente alle modificazione ambientali.

Il progetto presenta però una grossa lacuna. Come si sa, non basta pensare a reintrodurre specie di interesse faunistico in un territorio, ma è ancor più importante seguirne poi l’evoluzione direttamente, con costanza e rigore scientifico. Tutto ciò non sembra essere stato fatto, se non sporadicamente, da parte degli organismi preposti a tale funzione.

La Regione ha pensato solo a sviluppare il Progetto. Le Province non dispongono assolutamente di personale sufficiente a tali scopi. Si pensava forse, a suo tempo, che tali compiti sarebbero stati assunti dal Parco delle Orobie, ma anche tale organismo non è decollato, e all’orizzonte non v’è alcuna novità di rilievo.

Una soluzione sarebbe quella di affidare temporaneamente tali funzioni di controllo e di monitoraggio ai Comprensori Venatori Alpini, che già svolgono egregiamente tali compiti nei confronti delle specie cacciabili, così come la legge prevede. Allargare tali funzioni anche alle specie protette sarebbe una soluzione percorribile, così come si dovrebbe ipotizzare per altre specie a rischio, come la Pernice bianca, il Francolino di monte e il Gallo Cedrone.

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Nell’arco Alpino

Svizzera, Austria, Francia e Slovenia dispongono ormai di numerose colonie, ben strutturate e in grado di garantire, sotto ogni profilo, la sua sopravvivenza. In tali stati si è superato il concetto di “protezione assoluta”, ed è maturato un  moderno concetto di “gestione”, che prevede un controllo costante delle popolazioni ed un normale intervento selettivo.

In Italia, nonostante per tutte le altre specie di ungulati non soggette a predazione naturale, che godono di ottima salute, il criterio della “gestione” sia ormai l’unico criterio efficace per proteggere le popolazioni stesse, per quanto riguarda lo Stambecco rimane, come retaggio ormai senza alcun senso, una protezione assoluta, che finirà per creare danni alla specie stessa. Le popolazioni che risiedono fuori dai territori dei Parchi non sono controllate da nessuno, per quanto riguarda lo stato di salute, l’evoluzione delle popolazioni e l’interazione con altre specie, comprese quelle domestiche avviate normalmente alla monticazione.

Di stambecchi e ne contano, sull’intero arco alpino, almeno trentamila esemplari.

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Vita familiare dello stambecco

La stagione degli amori, per questa specie, si colloca a fine dicembre – primi di gennaio, nel periodo più freddo dell’anno. Non vi sono, come per il camoscio, assembramenti particolari o harem da difendere, ma i maschi seguono individualmente le femmine, il cui estro fecondo dura poche ore e richiede un corteggiamento tranquillo. L’atteggiamento del maschio non è per niente aggressivo; la disponibilità all’accoppiamento viene accertata continuamente dal maschio dalle percezioni olfattive. Con il labbro superiore arricciato, le corna quasi nascoste all’indietro per non

impressionare la femmina, la lingua in fuori e la coda ritta, come un pennacchio, il maschio attende, in atteggiamento di sottomissione,  il momento in cui la femmina si rende disponibile.

La gravidanza dura all’incirca 5 mesi e mezzo, così che le nascite si collocano generalmente tra fine maggio e giugno. Ogni femmina, normalmente, partorisce un solo piccolo, anche se non è improbabile constatare parti gemellari. L’indice di fertilità è elevato nelle popolazioni giovani, in cui quasi tutte le femmine partoriscono ogni anno, mentre nelle popolazioni a densità elevata si riscontra la nascita di un piccolo, in media, ogni due femmine, considerando anche che la prima gravidanza si colloca, in queste realtà, solo al terzo o quarto anno di età.

I parti avvengono, generalmente, sulle pareti a strapiombo, a quote di altitudine molto elevate, sopra i 2000 metri, e i piccoli sono in grado di seguire le madri già poche ore dopo la nascita.

Al di fuori del periodo degli amori, maschi e femmine conducono vita separata, anche se gregaria.

I  branchi più numerosi sono quelli costituiti da maschi adulti, lontani dai territori dove stazionano le femmine con i loro piccoli dell’anno. Altri branchi che si possono osservare sono quelli formati da giovani di due o tre anni, considerati dei subadulti, non ancora inseriti a pieno titolo nel nucleo portante dei riproduttori, e quelli dei giovani dell’anno, specialmente all’inizio della primavera, quando le femmine si appartano per le nascite.

Il carattere distintivo dei due sessi sono le corna, assai più sviluppate nei maschi, nei quali possono superare un metro di lunghezza, a differenza delle femmine nelle quali si aggirano mediamente sui 20 – 30 centimetri. Si differenziano anche per la taglia, che è di un terzo superiore nei maschi. Il peso di questi adulti si aggira sui 90 – 100 Kg, ma può raggiungere anche i 120 Kg., mentre le femmine, mediamente, ne pesano solamente 65 – 70.

Per determinarne l’età è indispensabile osservare l’accrescimento delle corna, che presentano anelli di crescita ben visibili se osservati da dietro e di lato; questi non c’entrano con le grosse protuberanze sul lato frontale che ornano il loro trofeo. Gli anelli d’età corrispondono alle “pause” invernali, e comprendono fasce di crescita più grandi in modo inversamente proporzionale all’età dell’animale. Nelle femmine questi accrescimenti sono visibili in modo chiaro fino ai  4 – 5 anni, e diventano poi millimetrici.

Per l’osservazione a distanza ci possono comunque aiutare anche le protuberanze di abbellimento che ornano il trofeo dei maschi, in quanto, generalmente, esse sono due per ogni anno di crescita regolare, salvo per il primo anno in cui non sono visibili.

La vita media dello stambecco si aggira sui 18/20 anni per le femmine, mentre per i maschi è normalmente di 14/16 anni.                                                                                    

                             

                                                                   GALIZZI FLAVIO

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